Io e Maurizio pensammo di trascorrere
qualche minuto sul Bastione, una monumentale piazza edificata agli
inizi del novecento. Il Bastione è una struttura che domina la città, pertanto
dal suo parapetto si possono osservare numerosi quartieri, dalla Sella del
Diavolo per arrivare sino al colle di S. Michele, passando per la boscosa
collinetta di Monte Urpinu. Nei primi anni dell’Università mi fermavo a
contemplare quel panorama di case, mare, palazzi e colli, tante volte da solo,
altre volte in compagnia di qualche collega, magari per discutere
dell’imminente esame. In effetti al tempo si trattava di un luogo
particolarmente tranquillo, soprattutto quando la sera faceva scivolare il suo
mantello sul perimetro urbano. Dai giorni in cui vi andavo regolarmente è
trascorso del tempo, e l’atmosfera ha subito un cambiamento radicale, tanto che
oggi posso affermare di rimpiangere quel luogo dismesso ed umido. In quella
stessa piazza, qualche anno prima, circolavano personaggi misteriosi,
indecifrabili, del tutto estranei alle convenzioni sociali del nostro tempo.
Questi “anonimi” si concentravano negli angoli più tetri, ed insieme
organizzavano e discutevano dei loro ermetici affari. Nelle panchine circolari
qualcuno era solito iniettarsi la propria dose di eroina, altri scolavano come
autopompe litri di birra scadente, taluni decidevano di compiere clamorose
attività illecite, senza la minima preoccupazione d’essere “pizzicati”. Del
resto, non potevano imbattersi in alcun problema: quella era una zona franca
della città. Tutte le metropoli hanno le loro “zone franche”, in cui la legge
assume la stessa valenza dei divieti nei cessi pubblici. In questi Far West
nostrani lo Stato s’inchina sino a baciarsi le punte delle scarpe, arriva a
genuflettersi dinanzi a questa variopinta e sconvolgente schiera d’individui,
che assiste con lo stesso riguardo con cui una scrofa cura i propri piccoli
prima di divorarli.
Cagliari è un capoluogo di modeste
dimensioni, non sicuramente paragonabile ai popolosi centri del settentrione.
Tuttavia anche Cagliari aveva ed ha le sue zone franche: S. Elia su tutte, ma
anche Via Serucci, Piazza S. Michele, Via Castelli, il CEP, anche se le
amministrazioni comunali hanno cancellato alcuni habitat naturali come
Piazza Matteotti o lo stesso Bastione. Proprio sul Bastione è stata allestita
una moderna pista di pattinaggio, e delle potenti illuminazioni hanno reso
l’ambiente assai più accogliente per il patriziato urbano, che amplia i suoi
orizzonti su quei territori in cui non avrebbe mai pensato di poter posare le
proprie costosissime scarpette.
Proprio l’altro ieri sono ritornato sulle
ripide scalinate del Bastione e, se devo essere sincero, provavo una
paradossale nostalgia per quell’ambiente tetro e pericoloso, dove “gli anonimi”
potevano trovare il conforto e l’accoglienza dei propri simili. Già, “gli
anonimi”, la comitiva di cui anch’io faccio ormai parte, capaci di evitare la
luce come vampiri fuoriusciti da datati romanzi dell’orrore. Fioriscono
accigliati dalla muffa dei quartieri popolari o dai pericolanti alloggi del
centro storico, per andare a riversarsi in quei luoghi che la maggior parte
delle persone “perbene” non frequenterebbero nemmeno sotto la minaccia di una
Quarantaquattro Magnum. Le ordinanze comunali hanno tentato di cancellare
questi spazi, ma “gli anonimi”, come evoluti camaleonti urbanizzati, si sono
adattati per resistere in luoghi sempre più irraggiungibili. Si, assolutamente
irraggiungibili, come quando decidono di librarsi nell’aria, per andare a
schiantarsi sul marciapiede sottostante, dinanzi allo sguardo inorridito o
morbosamente curioso dei passanti di turno. Quante persone hanno scelto le mura
del Bastione per compiere l’azione decisiva, quante persone hanno detto basta
alla povertà, alla solitudine, o semplicemente a quei pensieri che tormentavano
le loro menti esauste. Sulle cronache dei giornali locali si possono leggere,
allora, le consuete informazioni sommarie. - Aveva molti debiti! -Oppure - Da anni non andava d’accordo con la moglie! – Gli hanno
portato via i figli – Il suo patrimonio è stato sequestrato! Ecco
dunque le probabili od improbabili ricostruzioni dei giornalisti, e mai si
accenna a questa società marcia, che non appena ti rendi colpevole (od
incolpevole) di qualsiasi cosa è pronta ad etichettarti, umiliarti o
schiacciarti, per poi isolarti brutalmente come uno scarafaggio schifoso...
Non molto tempo fa anch’io stavo per
diventare protagonista assoluto dell’ultimo atto, a qualche settimana
dall’uscita dal carcere. Il reinserimento era stato più difficile del previsto,
quasi tutti mi avevano abbandonato ed i pochi amici rimasti non erano sempre
disposti ad ascoltare le mie recriminazioni. Così, reso più coraggioso da un
mix di alcolici e psicofarmaci, mi avviai risoluto verso il leggendario muro
degli anonimi. Oggi non so dirvi se ero seriamente intenzionato, tuttavia
ricordo la sensazione di fumosa disperazione, quella dolorosa percezione che ti
perseguita in capo al mondo, quegli oscuri pensieri che reprimono qualsiasi
raggio di sole incuneatosi nella nebbia della tua anima...
Appoggiate le mani sul parapetto guardai
giù, in direzione della piazza alberata. Il mio respiro era diventato affannoso
ed irregolare, come se l’anima volesse già fuggire dal corpo. Uomini e donne,
bambini ed anziani, pacifisti e guerrafondai passeggiavano tranquilli inconsapevoli
della mia personalissima tragedia. Chissà cosa avrebbero esclamato, chissà cosa
avrebbero scritto i giornali, chissà quali ricercate espressioni avrebbe
pronunciato quella ricca signora ingioiellata che stazionava dinanzi alle
vetrine! Non sarebbe stato male sporcarle la pelliccia del mio sangue, certo,
avrebbe avuto il suo effetto scenico. Comunque... Avete mai ascoltato quella
vecchia canzone, si, proprio quella che parla di un aspirante suicida, convinto
a desistere da un angelo piombato dalle vellutate poltrone del Paradiso? Si,
quella canzone in cui l’angelo elenca una serie di circostanze per cui vale la
pena di vivere: il mare, l’amore di una donna, etc... Bene, non vi sembrerà
vero, ma non mi è capitato nulla di tutto ciò. Non appena misi il piede sul
parapetto, un violento conato di vomito mi sorprese come potrebbe sorprendermi
un pagliaccio ubriaco che, inondato da un acquazzone autunnale, si abbassa
pantaloni e mutande all’apice di una funzione funeraria! Eh si! Dannate
vertigini... Quella sera mi salvarono la vita, ma a conti fatti posso
considerarmi soddisfatto. Certo, la mia esistenza fa ancora abbastanza schifo:
ricordi orribili, soprusi, povertà ed ossessioni striscianti continuano a
perseguitarmi, ma non posso morire in questo modo, diciamo... Almeno per il
momento! Prima di farlo devo saldare qualche conto aperto. Come assicura il
saggio dove non arriva l’amore arriva l’odio, ed io di odio ne ho da venderne,
anzi, addirittura da regalarne.
Brano tratto da "Valeria e le cattive
compagnie" di Vincenzo M. D'Ascanio.
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