"È sbagliato giudicare un uomo dalle persone che frequenta. Giuda, per esempio, aveva degli amici irreprensibili."

( Ernest Hemingway)

giovedì 28 marzo 2013

Intro





Aspetto in questo bar oramai da qualche ora. L’appuntamento era stato fissato per le diciassette, Piazza d’Armi, Bar Europa, ma l’inquietudine ha sconfitto la volontà. Alle quattordici in punto ho chiesto il mio primo caffè, poi ho ordinato una birra, poi un altro caffè, altra birra, infine è arrivato il turno della vodka. Queste bevande sembrano clessidre, le bevo lentamente centellinando ogni sorso, osservando con attenzione la perfezione delle linee superficiali. Di tanto in tanto ascolto il giornale radio: la crisi politica e quella delle borse, episodi di razzismo nella periferia romana, lavoratori licenziati sminuiscono i sindacati, un popolare regista televisivo commenta con sarcasmo l’avanzata del cinema indiano. Ascolto osservando il vuoto, talvolta sorrido, altre volte mugugno, in sintonia con le notizie riportate dalla chiara voce del giornalista meridionale... I camerieri intanto mi osservano con delle occhiate che stazionano tra il preoccupato ed il compassionevole. Si avvicinano con la massima circospezione, mormorano tra loro, si scambiano occhiate eloquenti, un’adolescente (forse la figlia del padrone) mi studia di soppiatto protetta dal barattolo delle liquirizie. Il mio aspetto non è dei migliori: il periodo trascorso in carcere si fa sentire sulla pelle, e soprattutto sullo sguardo. Non posso tuttavia nasconderlo neanche a me stesso, in queste situazioni provo un malsano orgoglio. Nella mia “precedente” esistenza avevo sempre desiderato trasformarmi in una figura inquietante, ed una serie d’indizi mi suggeriscono che ci sono riuscito. Un’ispida barba è cresciuta sulle guance, nascondendo il viso quasi adolescenziale. Qualcuno potrebbe pensare che ho trenta, trentacinque anni, ma ne ho molti meno, e portati nel modo peggiore possibile.

Sfoglio distrattamente un quotidiano, poi l’abbandono vinto dal consueto pessimismo. Non più distratto dalla cronaca controllo le tasche del giaccone, come se contenessero le risposte che non riesco a trovare. Lei verrà all’appuntamento? Mi vorrà ancora? Mi avrà perdonato? Non so cosa farò se dirà di non volermi più. Nei momenti di sconforto ho considerato questa possibilità, ma la mente la evita come un fosso sulla carreggiata. Quando ho letto la sua mail sono stato assalito dall’angoscia, le mani hanno iniziato a gesticolare sulla tastiera, non sapevo nemmeno se fosse opportuno risponderle o presentarmi all’appuntamento. La paura di perderla è come un cappio pronto a stringersi sulla gola, un lasciapassare gratuito verso una notte da incubo. Sino ad oggi una lieve speranza mi ha tenuto in vita, e se questa dovesse abbandonarmi non saprei come reagire.

No, basta, devo allontanare quest’atteggiamento disfattista e passivo! Non può finire così, lei mi ama, mi ha sempre amato...Oppure no? Chissà... Forse ha recitato una parte per coinvolgermi in un’insensata messinscena, dando sfogo ad una degenerazione partorita dalla sua mente contorta! In questo caso saprò sostenere il peso del rifiuto, quando deciderà di strapparsi la sua maschera da commediante? Bene, benissimo, incasserò senza battere ciglio, non avrà un briciolo di soddisfazione. Si, proprio così, nessuna soddisfazione... Ma non posso considerare seriamente questa possibilità, perché non è interessata a queste puntate, non essendo capace di accogliere forme di vanità. Non sbandiera un ego estetico da soddisfare, e non cerca conferme alle sue insicurezze, che affondano le radici nelle profondità della sua psiche. Lei è cresciuta contorta come una vite americana, ma nel tempo il dolore l’ha trasformata in un macigno impossibile da scalfire. Le sue decisioni sono irrevocabili, le sue ostinazioni salde come le mura di un castello, la sua caparbietà pari a quella di un kamikaze deciso a schiantarsi su una portaerei nemica. Non posso sperare di resuscitare la sua vanità, come non posso sperare in un dialogo con la sua compassione: vani tentativi, come lanciare sassi in uno stagno sperando che galleggino.

Nonostante tutto, nonostante impressioni e riflessioni pessimiste, anch’io voglio essere caparbio nelle mie illusioni, e resisterò sino a quando la candela non sarà spenta dall’ultimo alito di vento. Non posso e non voglio immaginare la mia vita senza di lei, non riesco a vedere nulla oltre noi due. La mia mente ha resistito al carcere, ma non sopporterà quest’ulteriore prova. E’ come se mi avesse stregato: nella notte appare nei miei sogni, durante il giorno la riscopro in ogni oggetto o luogo, tutto la riguarda, tutti mi parlano di lei. Talvolta maledico il giorno in cui ci incontrammo, mi sbraccio ed urlo contro il cielo, ma quando ricordo il suo viso, la linea del suo sorriso, ogni tentativo ha la stessa consistenza di un’onda marina. Aspetterò in questo bar ancora cinque minuti, ancora un’ora, forse due... Ma che dico? Sono pronto ad attenderla per tutta la vita.

Brano tratto dal libro "Valeria e le cattive compagnie" di Vincenzo M. D'Ascanio.

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